>> Mons. Paolo Sardi, un cardinale di casa nostra

Il 20 novembre si è svolto il Concistoro nel quale il Papa ha nominato 24 nuovi Cardinali, tra i quali, Mons. Paolo Sardi, della Diocesi di Acqui.

Nato a Ricaldone (Al) il 1 settembre 1934, dopo gli studi nel Seminario acquese, fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1958; il 10 dicembre 1996 è stato nominato Nunzio Apostolico con Incarichi Speciali e arcivescovo titolare di Sutri; il 6 gennaio 1997 è consacrato nella Basilica di San Pietro da papa Giovanni Paolo II, co-consacranti l’arcivescovo Giovanni Battista Re e l’arcivescovo Miroslav Stefan Marusyn; il 23 ottobre 2004 è nominato Vice-Camerlengo della Camera Apostolica, succedendo nell’incarico all’arcivescovo Ettore Cunial, dimessosi per raggiunti limiti di età; dal 6 giugno 2009 è anche Pro-Patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta.

 Sull’Osservatore romano, leggiamo: “Nell’omelia prima della consegna dell’anello ai nuovi cardinali Benedetto XVI ha richiamato l’attenzione sul fatto che la creazione di porporati avvenga alla vigilia della solennità di Cristo re dell’universo, che conclude l’anno liturgico. E proprio nella luce di questa antica festa ha collocato il ministero papale e quello cardinalizio, che dal radicamento nella Chiesa di Roma trae il suo significato.

Il primo servizio del successore di Pietro è quello alla fede. Che però non è un sentimento vago o una fede qualsiasi: come Maria e come il buon ladrone, anche il Papa e i cardinali devono infatti riconoscere questa singolare regalità di Gesù crocifisso. E, come loro, stare accanto alla croce di colui che vi è salito per salvare il mondo, piuttosto che invitarlo a scendere dal patibolo, non riconoscendo la sua divinità sfigurata perché spoglia di gloria visibile: “Lo deridono, ma è anche un modo per discolparsi” ha spiegato con sottile finezza Benedetto XVI.

È dunque un ministero difficile quello del Papa e dei cardinali “perché non si allinea al modo di pensare degli uomini” ha sottolineato il vescovo di Roma, tornando a parlare per la seconda volta in ventiquattro ore della necessità di pensare e operare secondo la “logica della Croce”, che non è mai facile né scontata e non deve guardare a ideologie o affannarsi dietro particolari accorgimenti: “In questo dobbiamo essere compatti, e lo siamo perché non ci unisce un’idea, una strategia, ma ci uniscono l’amore di Cristo e il suo Santo Spirito” espressi dal segno sponsale dell’anello.

Attento come sempre ai simboli, Benedetto XVI ha legato l’immagine della Crocifissione incisa sull’anello dei cardinali al rosso sangue della porpora. Entrambi infatti convergono nel significare la necessità di restare con Maria accanto a Gesù, che muore sulla croce e da questa regna sull’universo: stat crux dum volvitur orbis. Con l’unico scopo di annunciare la sua signoria: “Il primato di Pietro e dei suoi Successori – ha scandito – è totalmente al servizio di questo primato di Gesù Cristo” perché il suo amore venga e trasformi la terra.

E questo è lo scopo del libro con l’intervista al Pontefice, che senza ragione già si cerca di assimilare alla mentalità del mondo. “Io penso – vi afferma invece Benedetto XVI – che Dio, scegliendo come Papa un professore, abbia voluto mettere in risalto proprio questo elemento della riflessività e della lotta per l’unità tra fede e ragione”. Con una lucida avvertenza: “L’uomo in ogni caso non è in grado di dominare la storia a partire dalle proprie forze”. Concludendo che proprio per questo “abbiamo bisogno di Cristo che ci raccoglie in una comunità, che chiamiamo Chiesa”. La quale, sull’esempio del suo Signore, vuole essere amica dell’uomo”.

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