>> A proposito della Gancia, Fogliati chiede alla Giunta un tavolo di confronto con la proprietà

Parlando di vino, mi vien da dire che qualcuno ha fatto i conti senza l’oste.

Qualcuno ha gioito con troppa facilità quando la maggioranza azionaria della maison canellese è passata di mano diventando, di fatto, russa. Avevo invitato a maggior cautela, nell’attesa di conoscere il piano industriale, rievocando vicende passate in altre aziende non molto distanti. All’atto, si presentava solo come un’operazione di ottima finanza a fronte di un’azienda in difficoltà in un momento economico particolarmente fragile.

Ora le notizie non virano ad un entusiastico ed infantile applauso di benvenuto al magnate russo. Si parla di ristrutturazione aziendale: di certo 24 lavoratori, non unità come si dice oggi, quasi fossero cose, anonime: 24 lavoratori perciò famiglie, un centinaio di persone. Si prospetta un nuovo indirizzo di produzione: non più vino (tutti o solo alcuni? L’uscita dal Consorzio dell’Asti andava già in questa direzione?) – ma aromatizzati.

Dunque è opportuno fermarsi e riflettere alle notizie che giungono dalla Gancia.

Ora, più che mai in passato, il destino pare poco chiaro e poco sereno: dai primi confronti sindacali pare che gli esuberi si concentrino in amministrazione e, dunque, la governance dell’azienda sarà chiaramente rinnovata e, forse, relegata a centri decisionali molto lontani dalla sede canellese. Di solito i centri direzionali vengono portati altrove e si interrompe il legame con la radice del territorio e del contesto aziendale; le scelte diventano sempre meno condivise e concertate. E solitamente ad una riduzione delle forze amministrative di una azienda segue, di lì a poco, una riduzione delle maestranze.

Più di qualche operatore del settore solleverà le sopracciglia ad immaginare Gancia, non più figura centrale nella produzione dello spumante classico e prima firma nel asset dell’Asti, ma trampolino di rilancio del vermouth. Il prodotto pare di grande appeal nei freddi mercati sovietici: se così fosse, e se la sete dovesse essere soddisfatta dagli impianti in riva al Belbo, restano da comprendere molti dettagli e tutti non indifferenti per il destino dell’azienda, dei lavoratori e dunque, della città. Non esiste un rischio di “forte volatilità” nel target di riferimento del mercato vermouth? Lo stabilimento di Canelli avrà questa come sorte, ossia seguire le mode del momento nel campo degli alcooli (e dunque con forti oscillazioni)? Di quali numeri si sta parlando? Seguiranno investimenti per l’adeguamento della produzione e degli impianti? Il mercato dell’Asti e del Moscato – e dunque dei conferenti cioè delle aziende che gravitano nell’indotto oppure le aziende agricole, canellesi e non (quante, per quante famiglie, per quante persone?) quali ripercussioni subirà?

È opportuno che la Giunta, in persone del Sindaco e dell’Assessore alle Attività Produttive, predisponga immediatamente un tavolo di confronto fra proprietà, lavoratori, parti sociali e parti agricole. La città non può tollerare un’ulteriore incertezza sul proprio destino; in una lettura moderna e non elementare dello sviluppo economico comprendiamo lo stretto legame fra le dinamiche aziendali di entità importanti come la Gancia e lo sviluppo – e non solo in termini economici e finanziari – di una città. Relegare la discussione all’interno delle vicende private di un’azienda, chiamando fuori il ruolo dell’Amministratore pubblico, è una forma di disimpegno che sa di timore, di paura a confrontarsi su progetti di lunga durata per Canelli.

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