>> I due canellesi scampati al disastro della nave Concordia

“Alle 20,30 di venerdì 13 gennaio, ricevetti una telefonata da mio figlio che, entusiasta del viaggio, mi garantiva che, appena ritornato a casa, sarebbe andato dallo zio Claudio dell’agenzia Carioca di Canelli, a prenotare un’altra crociera”.

E’ con queste parole che Gian Paolo Micca, nella sua abitazione di viale Indipendenza, ha spiegato come avrebbe dovuto andare a prendere, sabato 14, alle 8, al porto di Savona la moglie Patrizia Bagnasco ed il figlio Alessandro, a conclusione della crociera con la Costa Concordia. Il tutto rinviato alle 19,30 della sera.

“Possiamo solo ringraziare Dio che ho pregato tanto – racconta la mamma Patrizia – e la prontezza di mio figlio che dall’oblo della cabina ha visto gli scogli e le luci della terra ferma a pochi metri da noi … Noi, del tutto vestiti, ci siamo affrettati a salire sul ponte… Siamo rimasti stupiti  dall’accoglienza degli ottocento abitanti  dell’isola del Giglio. Ci hanno aperto, all’una di notte, la chiesa, l’asilo, i bar, i negozi, le case private… Certamente non possiamo lamentarci del personale (quello che abbiamo visto, compresi i camerieri che si adoperavano ad aiutarci) e, ancor meno dei soccorsi”

“Alle 21,30, avendo già cenato nel primo turno – dettaglia Alessandro –  eravamo in cabina. Mi apprestavo ad uscire, la mamma stava preparando le valige. Per caso, dall’oblò, ho visto delle luci. Mi sembrava strano che, così vicina, si fosse affiancata un’altra nave. Mi affacciai meglio, e, per terra,  vidi che c’era uno scoglio. Prontamente dico a mia madre di vestirsi per fuggire. E fu lo schianto, con la caduta  di tutti gli oggetti. Caduta la luce per trenta/quaranta interminabili secondi, indossati i giubbotti, siamo saliti al punto di raccolta al quarto piano, dove c’era il caos totale. Gente che si dimenava, urlava, in mutande, scalza… Gli animatori, non sapendo anche loro cosa fosse successo ci invitavano a restare calmi, che era solo un problema tecnico, come del resto era ripetuto dagli altoparlanti, unitamente ad un incomprensibile messaggio ‘Tango India’ .

Verso le undici, mentre la nave sempre più si inclinava, è partita la sirena dell’allarme con l’invito ad abbandonare la nave. Il nostro punto di raccolta si è venuto a trovare nel lato  superiore della nave, che sempre più inclinata non consentiva la discesa delle  scialuppe. Ci hanno fatto spostare dall’altro lato (nel passaggio, particolarmente difficile e pericoloso, non si riusciva a stare in piedi, sono riuscito ad  aiutare alcuni anziani) da cui era possibile far scendere le zattere gonfiabili contenenti 35 persone. Separato da mia madre, lei su una scialuppa ed io su una lancia, siamo sbarcati al porto dell’isola del Giglio. Con un pullman, siamo saliti  per 5/6 chilometri, fino ad un asilo dove abbiamo passato la notte, su materassi e coperte. Alle due ci hanno portato generi alimentari (panini, caffè, the, brioche, abiti, scarpe)”. Nella cabina, in fondo al mare, abbia lasciato tre valige, gli effetti personali, le catenine, gli  orologi, il telefonino della mamma,  l’mp3, la macchina fotografica”. Speriamo che, presto, in fondo al mare, vada a finire anche  la paura.