>> Volunteers, continua la missione umanitaria in Afganistan

Il tecnico radiologo ovadese Maurizio Mortara, presidente dell’associazione Volunteers, ci scrive da Kabul, dove è in missione umanitaria da circa due mesi, aggiornandoci sulla situazione:

“Quando il responsabile di una clinica oculistica di Torino ha contattato l’ufficio di Volunteers per far arrivare in Afghanistan tutte le attrezzature che intendeva donare agli ospedali di questo paese, ho immediatamente risposto che avrei portato personalmente il materiale a destinazione.
Volunteers stava organizzando una missione a Kabul, per allestire attrezzature sanitarie all’Esteqlal Hospital ed avrei collegato le due consegne in un unico viaggio.

Raggiungere l’Afghanistan e lavorare nel paese non è cosa facile. Purtroppo le sempre più precarie condizioni di sicurezza impediscono di stabilire progetti e piani di missione, costringendo gli esperti internazionali ad operare chiusi nei loro uffici-bunker e i militari a limitare ogni uscita dalle basi dove sono operativi.

La missione avrebbe dovuto partire nel giugno scorso, ma l’attentato al prt italiano di Herat del 30 maggio, bloccò ogni possibilità di compiere operazioni umanitarie in quella provincia e tutti gli esperti italiani furono evacuati dalla regione diventata luogo di attentati. Soltanto a settembre siamo riusciti ad ottenere i pass per entrare nel paese e gli appoggi degli avio-vettori militari che dall’Italia raggiungono l’Afghanistan.
Il primo ottobre, un DC10 partiva dall’aeroporto di Villafranca con tutto il carico, mentre io avevo già raggiunto Herat un paio di giorni prima.
Sapevo che avrei incontrato mille difficoltà. Viaggiavo con quindici bancali di attrezzature mediche, che dovevo far arrivare integre sino alla consegna negli ospedali di Herat e Kabul. Oggi, dopo un mese di missione, tutto è a posto.

Il Noor Hospital di Herat possiede una nuova strumentazione di chirurgia ad ultrasuoni per eseguire interventi sui pazienti afgani con problemi di vista, un’altra di queste apparecchiature chirurgiche è stata sistemata in un ospedale analogo a Kabul. Per l’Afghanistan questo tipo di intervento agli occhi è un sistema del tutto innovativo e questi “faco” , come chiamano gli afgani i macchinari che ho consegnato, sono le prime attrezzature per chirurgia ottica ad ultrasuoni ad essere utilizzate negli ospedali pubblici di tutto l’Afghanistan.

In questi giorni si sta portando a termine la consegna del resto del materiale donato dal professore di Torino. Diecimila paia di occhiali da vista, che saranno distribuiti da Volunteers seguendo le indicazioni del dott. Aham Shah Salam, coordinatore del settore oftalmico in Afghanistan. Con la collaborazione del dott. Aham Salam, stiamo organizzando una “mobil clinic” e si prevede con essa di raggiungere le zone rurali delle provincie dell’Afghanistan, eseguendo screening sulla popolazione di questi villaggi. Ad ogni paziente con problemi di vista verrà consegnato in donazione un paio di occhiali arrivati dall’Italia.

Nei quindici bancali che sono arrivati con me in Afghanistan erano confezionati anche una trentina di letti per ospedale, che hanno riempito i reparti di chirurgia intensiva del centro ustionati e quello della maternità dell’Esteqlal Hospital di Kabul.
Lavorare in questo paese non è cosa facile. Sono ormai tre anni che vado avanti e indietro tra Italia ed Afghanistan. Da tre anni vivo il periodo di “transizione” proposto e progettato dall’occidente ai pasthum, ai tagiki ed a tutte le altre etnie che popolano queste terre indomabili.

Il venerdì in Afghanistan è chiamato “jum a”, giorno di festa e quando anch’io ho qualche momento libero, spendo qualche ora girando tra la gente di Kabul ed Herat.
Qualche strada è stata asfaltata, il sistema elettrico garantisce quasi costantemente la fornitura di energia, il centro culturale che ho visitato apre lo sguardo dei ragazzi della capitale verso il futuro.
A Kabul il mese scorso si è addirittura svolto un concerto di musica rock (ma l’avvenimento era stato tenuto nascosto sino poche ore prima dell’inizio per paura di attentati) ed ha riaperto la scuola di musica classica.

Con i fondi spesi od investiti dalle nazioni occidentali sono migliorati alcuni ospedali ed infrastrutture.
Ma la gente continua ad avere paura dei talebani. Nessun afghano osa far sapere di guadagnarsi da vivere lavorando per organizzazioni internazionali. Basta questo per essere ucciso dai guerriglieri.
Gli afghani che conosco e con i quali dialogo, stanno sempre molto attenti a nascondere o cancellare ogni traccia della loro collaborazione internazionale dal cellulare o dalle carte che portano in giro.

Così, questi piccoli segni di cambiamento rimangono quel poco che dieci anni di guerra e massacri sono riusciti a portare e le squadre di guerriglieri talebani continuano a controllare la maggior parte del paese, costringendo gli operatori internazionali a lavorare chiusi nelle loro roccaforti blindate e troppo isolati per sentire l’odore della polvere che respira la gente di Kabul. Difficilmente questo sistema di lavoro arriva vicino ai pensieri ed alle reali necessità dei cinque milioni di abitanti che popolano la capitale.
Al di fuori delle grosse città si vive in una terra senza controllo e nelle regioni del sud l’integralismo talebano non accetta imposizioni governative e occidentali.

Le migliaia di dollari che arrivano in Afghanistan servono soprattutto a garantire  l’incolumità e la sicurezza per gli operatori occidentali e soltanto una piccola parte arrivava al popolo afgano.
Probabilmente tutte le precauzione sulla sicurezza sono necessarie per poter continuare ad operare nel paese, ma l’impressione che percepisco dopo tre anni di lavoro in Afghanistan, mi costringe a constatare la debole posizione raggiunta dal governo di questo paese dopo dieci anni di guerra e tentativi di ricostruzione.

Nonostante più di centomila soldati presenti e l’imponente utilizzo delle sofisticate macchine da guerra occidentali, l’Afghanistan è sempre più un paese in cerca di pace e stabilità.
Anche la missione di Volunteers poteva essere una missione impossibile, ma forse operare esclusivamente con lo scopo di stare vicino agli afgani ha reso fattibile ogni parte del nostro progetto.
Due giorni fa Miss. Suraya Dalil, Primo Ministro della Sanità dell’Afghanistan, mi ha ricevuto per conferire a Volunteers un benemerito istituzionale.

Ci sono tanti modi per portare un segno di pace tra la gente di un paese in guerra. Uno di questi è provare ad essere uno di loro, vivere le stesse paure quando si gira per strada o si raggiungono cliniche situate in zone pericolose.
Ma soltanto in questo modo si può sentire di cosa gli afgani hanno realmente bisogno ed il tuo lavoro diventa un segno di amicizia e solidarietà piuttosto che un atto di carità dell’occidente.

Una buon esempio che dimostra al mondo quale sia l’unico modo per entrare in Afghanistan e vivere questo paese come fossi uno di loro.
Qualche giorno fa è atterrato a Kabul il Segretario di Stato americano Hillary Clinton. Nel cielo della capitale per tutto il giorno gli elicotteri USA hanno girato in pattugliamento per controllare la città.

La Sig. Clinton ha rivolto ai talebani una richiesta di collaborazione verso la politica di pace in favore dell’Afghanistan, in caso contrario l’esercito americano avrebbe inasprito gli attacchi in maniera ancora più violenta. Nelle stesse ore,  una trentina di chilometri fuori dalla città di Herat, i talebani rispondevano alle parole della Clinton facendo saltare in aria un convoglio militare locale e causando la morte di cinque soldati afgani.”

Maurizio Mortara +39 3331298202 +93 797828580 (Afghanistan)

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